Tu sei qui

CARA SCUOLA.......articolo ( dott. M.Maviglia)

Versione stampabileVersione PDF

 

CARA SCUOLA…

Mario Maviglia scrive una lettera aperta alla scuola. In un mondo dominato dall’individualismo, le dà il compito alto ma possibile di continuare testardamente sulla via dell'alfabetizzazione civile. Le chiede, oggi più che mai, di darsi come spazio vivo, all’interno del quale si sviluppa la relazione educativa. 

 
Ginestra

Cara scuola,

ultimamente sei stata messa sotto i riflettori dai mass media. Da quando ti hanno definito “buona” sei stata bombardata di attenzioni, analisi, e non poche critiche. (Ma poi, perché “buona”? Prima eri forse “cattiva”?). Recentemente ti hanno proposto di rimanere aperta anche in estate. Tu sonnecchi, sotto il peso ormai pluricentenario della tua storia. Non sempre queste novità ti entusiasmano, anche se non lo dai a vedere. Molti dicono che ti devi innovare, essere al passo con i tempi, anche se non sempre si capisce cosa questo voglia dire sul piano operativo. La verità, cara scuola, è che hai perso quella centralità che avevi un tempo nella costruzione della conoscenza. Oggi hai dei concorrenti straordinari, che usano strategie attraenti, affascinanti, lontane anni luce dai tuoi noiosi metodi ancora troppo trasmissivi. E infatti i giovani ti guardano con spocchiosità e diffidenza. Certo, devono frequentarti per obbligo di legge, e poi perché gli fa comodo prendere quel “pezzo di carta” che è il diploma, ma dire che ti amino no, questo non succede, almeno non frequentemente.

Eppure hai svolto, e svolgi tuttora, un ruolo fondamentale nella vita della nostra società. Pensa alla disgregazione sociale e culturale se tu non esistessi: i giovani non avrebbero modo di orientarsi in un mondo così ricco di dati, notizie, informazioni. Oggi sei l’unica istituzione che può tentare di dare un quadro di sistematicità alla massa di sollecitazioni che riceviamo quotidianamente e a far trovare chiavi di lettura per conoscere e interpretare il mondo. Il web e gli altri mezzi di comunicazioni aggiungono dati e informazioni, ma non creano quadri interpretativi. Non sempre ci riesci neanche tu, ma questo dipende da chi ti frequenta nel ruolo di docente. Talvolta non riesci a dare nemmeno gli strumenti essenziali del sapere, soprattutto nei confronti dell’utenza più gracile e bisognosa, trasformandoti – come diceva Don Milani – in una sorta di ospedale che cura i sani e respinge i malati. E questo è uno dei tuoi drammi, anche oggi.

Ancora più forte è il ruolo che esplichi nel campo dello sviluppo sociale e della coscienza civile. È all’interno delle tue mura che i bambini fanno i conti con l’"altro" e con la inevitabile esigenza di trovare strategie relazionali che consentano di condividere uno stesso spazio sociale, nel rispetto di regole negoziate e condivise. Non è poco, soprattutto se pensi che nel nostro Paese c’è un forte individualismo e il senso del bene comune non è così diffuso. Nel suo saggio Italianità, la storica Silvana Patriarca scrive: “In contrasto con l’immagine spesso positiva che altri popoli hanno di se stessi (si può pensare a come si vedono gli americani – ottimisti, rivolti al futuro, preoccupati del bene comune – oppure gli inglesi – leali, riservati, rispettosi della legge), l’idea che gli italiani hanno di se stessi non è affatto lusinghiera: di qualsiasi gruppo sociale facciano parte, si descrivono come un popolo di cinici, di individualisti estremi incuranti del bene pubblico, di opportunisti propensi al clientelismo, falsi se non totalmente bugiardi”. E Raffaele Simone, nel suo Il Paese del pressappoco, rincara la dose notando che: “Senza avere colpa, visti in azione i bambini italiani (…) sono spesso un pubblico sconcio, sconcertanti hooligan di piccola taglia, bombe cariche di esplosivi desideri prematuramente eccitati, insomma soggetti che in paesi più misurati del nostro sarebbero considerati impresentabili e verrebbero sottoposti a rieducazione”.

Per queste ragioni l’opera di “alfabetizzazione civile” che oggi ti viene richiesta è ancora più importante perché ognuno tende a considerare il proprio particulare e a trascurare le esigenze della comunità. Abbiamo esempi quotidiani di genitori animosi che ti chiamano in causa per ingiustizie o presunti soprusi subiti a scuola dai loro figli. Spesso ti “chiamano in causa” in senso letterale, ossia ti portano davanti al giudice, o si rivolgono ad avvocati disponibili ed interessati (per ovvie ragioni…) ad alimentare il contenzioso.

Cara scuola, a noi piace invece pensarti come un’istituzione verso cui si porta rispetto, in modo non acritico, ma consapevole. Un modo per rispettarti è quello di riconoscere e valorizzare l’insostituibile ruolo che svolgi nella società. Ma perché ciò avvenga è necessario che i tuoi operatori siano in grado di portare avanti l’impresa educativa con competenza e saggezza. La scuola dovrebbe attrarre come docenti-professionisti le migliori intelligenze del Paese perché ad essa viene affidata la formazione delle giovani generazioni. Sappiamo che non sempre è così e che lavorare a scuola è spesso un’occupazione di ripiego.

Ci piace inoltre pensare, cara scuola, che di te si prenda cura prima di tutto chi vi passa tante ore (adulti e ragazzi). Gli ambienti scolastici non possono essere trasformati nella loro configurazione architettonica, però possono essere resi più vivibili e meno squallidi attraverso azioni di intervento civile che impegnino direttamente adulti e bambini. La tenuta dei locali, il loro abbellimento, la “leggibilità” dell’ambiente, la pulizia dei vari spazi può essere un campo di azione fortemente significativo per far sentire la scuola più propria e più vissuta da parte dei suoi diretti protagonisti. Se in una scuola non vi è una pianta o un fiore allora vuol dire che qualcosa non funziona nella vivibilità di quell’edificio. Troppa gente passa tanti anni nello stesso ambiente senza preoccuparsi di come vive quello spazio. Per molti docenti (e per molti alunni) la scuola è vissuta nella completa anonimia, se non alienazione: da qui trasandatezza e squallore nella tenuta dei locali, spesso danneggiati e aggrediti, e comunque, come nota Vanna Iori ne Lo spazio vissuto, “non rispondenti ad alcun gusto estetico né ad alcun vissuto dell’abitare”.

Ecco, cara scuola, a noi piace pensarti come uno spazio vivo, vitale, vissuto, gradevole, stimolante, all’interno del quale si sviluppa la relazione educativa. Sappiamo che è possibile.

 

 

Istituto Comprensivo di Calvisano - Via San Michele n.102 - 25012 Calvisano (Brescia) Italy - C.F. 94007010179 - C.M. BSIC84800A - Tel. +39 030 968 015
 
a cura di Mario Varini - EUCIP IT Administrator certified.
CMS Drupal ver. 7.94 del 14/12/2022 agg. 20/12/2022• XHTMLCSS

Sito realizzato nell'ambito del progetto "Un CMS per la scuola" di Porte Aperte sul Web
Comunità di pratica per l'accessibilità dei siti scolastici - USR Lombardia

Licenza Creative Commons

Il modello di sito è rilasciato sotto licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo (3.0 Italia) per permetterne
la diffusione e il riuso liberi con citazione degli autori e con l'indicazione che potrà essere utilizzato dalle scuole italiane che ne faranno richiesta.

Per informazioni, solo se appartenenti a Pubblica Amministrazione, contattare Mario Varini con e-mail istituzionale ( @istruzione.it )